Agnello di Dio

AGNUS DEI

Santino  francese

(inizio XX sec.)

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cco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29).

 

Con queste parole, che introducono il Battesimo di Gesù, Giovanni Battista riconosce il Figlio di Dio, Colui sopra il quale lo Spirito discende e rimane, Colui che battezza nello Spirito Santo.

 
 

 L’espressione “agnello di Dio” ci mostra un sicuro collegamento con i canti del Servo sofferente del Deutero-Isaia: era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (Is 53,7). Della identificazione di questo misterioso personaggio il pastore che diventa agnello , sono state date diverse interpretazioni dalla esegesi più accreditata; quella prevalente ha visto in lui il Cristo, vero agnello di Dio, le cui sofferenze vicarie sono strumento di salvezza per molti (53,11). In verità molti, ma non tutti.

 

Ci dovremmo chiedere se per caso non si voglia con ciò attribuire alla Morte in croce di Cristo una efficacia limitata: ebbene no, in questo passo isaiano si vuole evidentemente mettere in rilievo un significato esclusivamente sacramentale. Egli difatti offrirà se stesso in sacrificio di riparazione (53,10). Si tratta dunque di un gesto che potremmo definire “liturgico-sacramentale”; l’intera esistenza del Servo è liturgia, è Messa, è una vita “offerta”.

 

In effetti, le stesse parole della Preghiera Eucaristica della Santa Messa in lingua latina, risultante dai testi evangelici (Mt 26,27-28; Mc 14,24), recitano pro multis. Della questione si è ampiamente dibattuto, ma in questo contesto è sufficiente riportare la spiegazione riportata dal papa Benedetto:

 

secondo la struttura linguistica del testo, l’« essere versato » non si riferisce al sangue, ma al calice; « si tratterebbe quindi di un attivo “versare” del sangue dal calice, un atto in cui la stessa vita divina è donata abbondantemente, senza alcuna allusione all’agire di carnefici » … . La parola sul calice quindi non alluderebbe all’evento della morte in croce e al suo effetto, ma all’atto sacramentale, e così si chiarirebbe anche la parola « molti »: mentre la morte di Gesù vale « per tutti », la portata del Sacramento è più limitata. Esso raggiunge molti, ma non tutti.[1]

 

Ed allora il rimando pertinente non può che essere quello ribadito nella risposta di Gesù alla richiesta dei due figli di Zebedeo: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati» (Mc 10,39). Il “calice” e il “battesimo”: il “sangue” e l’ “acqua”.

     E se il “calice” abbiamo compreso bene cosa voglia rappesentare, del vero significato del “battesimo”, posto sulle labbra di Gesù, dobbiamo vagliare meglio l
accezione:

 

Il significato pieno del battesimo di Gesù, il suo portare «ogni giustizia» si rivela solo nella croce: il battesimo è l’accettazione della morte per i peccati dell’umanità, e la voce dal cielo «Questi è il Figlio mio prediletto» (Mc 3, 17) è il rimando anticipato alla risurrezione. Così si comprende il motivo per cui nei discorsi propri di Gesù la parola «battesimo» designa la sua morte (cfr Mc 10, 38; Lc 12, 50).[2]

 

Il “battesimo” è dunque un immergersi del Cristo, per accettare di lavare col suo sangue la colpa del mondo; mentre ribadiamo che quel Sacramento dell’altare di cui si parla il “calice” è pur sempre memoriale della Passione di Gesù, avvenuta durante una festa della Pasqua ebraica, proprio per riandare a quella atavica liberazione dalla soggezione al potere egizio, per far ritorno alla terra dei Padri, la terra della Promessa.

   In effetti, se osserviamo bene, 
l’analogia con quella Prima Pasqua è incontrovertibile: è necessario il segno salvifico del “sangue” dellAgnello il “calice” per scampare al giusto castigo di Dio e per incamminarsi verso la Patria promessa, cui si potrà accedere solamente dopo il passaggio attraverso l’ “acqua” del Mar Rosso, che prefigura il Battesimo cristiano. Novello Mosè del tempo ultimo è lAgnello stesso, che guiderà verso la salvezza il popolo di Dio, che proprio nel “sacramentum” dellevento cristologico portato a completezza verrà esaltato come suo Corpo mistico.

 

Agnello di Dio, offerto in sacrificio di riparazione. Che significato assumono queste parole? Per la legge del Popolo eletto, questo tipo di sacrificio era l’ ’ashàm, l’atto sacrificale cui si sottopone liberamente il “Servo sofferente”, che la precedente versione della Bibbia CEI (1974) definiva «espiazione»: Se qualcuno commetterà un’infedeltà e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal gregge (Lv 5,14-16). La vittima spettava al sacerdote che aveva compiuto il rito espiatorio e doveva essere mangiata in luogo santo (cfr Lv 7,1-10).

 

Un ariete senza difetto, preso dal gregge, cioè la Chiesa. Eppure qui si sta discutendo della parola “agnello”, e non propriamente di “ariete”. Nello stesso racconto veterotestamentario del sacrificio di Isacco, si parla effettivamente di un “ariete”, impigliato con le corna in un cespuglio, offerto da Abramo in olocausto al Signore al posto del figlio (Gn 22,13).

 

Una chiave di lettura efficace per chiarire l’uso di due differenti vocaboli, la fornisce, seppure indirettamente, Origene:

 

Giunto al commento di questo passo (Ev. Io. 1,29), Eracleone… asserisce che “l’espressione Agnello di Dio è pronunciata da Giovanni Battista in quanto profeta, mentre l’altra, Che prende su di sé il peccato del mondo, è pronunciata da lui in quanto più che profeta (cfr. Ev. Matth. 11,9)”. Quanto alla prima, egli pensa che si riferisca al corpo di Cristo; la seconda a ciò che è nel corpo: infatti l’agnello indica qualcosa che non è ancora perfetto secondo la specie ovina, e tale è appunto il corpo rispetto a ciò che vi dimora. “Se Giovanni avesse voluto attribuire al corpo la perfezione”, egli dice, “avrebbe definito ariete la parte che doveva essere immolata”.[3]

 

Ecco, comprendiamo dunque, che l’espressione Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo può essere intesa solamente se si separano le due parti – “corpo-sangue” e “anima-divinità” – del Cristo. La stessa parola “agnello” pone l’accento sul predominante aspetto della “corporeità”. E però questa spiegazione, seppure convincente, sembra sbalordirci: come può essere che nel Cristo vi sia qualcosa di “imperfetto”? In effetti, ciò è possibile solamente se si assume che esso – il “corpo” –, è stato “immolato” a un essere spirituale malefico, talché la sua “imperfezione” risulta provocata da un fattore esterno, non imputabile a Lui: Tu sei degno di prendere il libro| e di aprirne i sigilli, | perché sei stato immolato | e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, | uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione (Ap 5,9).

 

Immolato, come ricorda ancora l’Apocalisse, fin dalla fondazione del mondo (13,8), perché Egli è il Principio della creazione di Dio, il Primo e l’Ultimo (3,14; 1,17). E tuttavia, nello stesso libro profetico, che compendia tutta la Scrittura, l’Agnello appare in piedi, come immolato (5,6). Immagine piuttosto controversa, se non fosse che la lettura che qui se ne dà la spiega appieno: “in piedi” perché Egli è il Vivente in mezzo a noi, eppure “immolato”, perché solo il suo “corpo” è potuto essere soggetto all’azione diabolica di colui che è omicida fin dal principio (Gv 8,44): così sul Golgotha ed ogni volta che un figlio del diavolo (1Gv 3,10), discepolo infedele, gli immola l’Ostia santa e immacolata.

     Cionondimeno, la sua
“anima-divinità”, sopra la quale il diavolo non ha alcun potere, per somma grazia riesce a vincere e a riparare, proprio facendo leva sul suo corposoffrendo fino in fondo il male, creando così un contrappeso di valore assoluto allopera del maligno che agisce in questo mondo, anche e soprattutto nella Chiesa, di cui lAgnello di Dio, lEmmanuele, è a tutti gli effetti “figlio”: «Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene» (Is 7,16).

 

Si comprende così limmagine del primo cavaliere dellApocalisse, che è lAgnello stesso, il quale si presenta in questa veste nel momento in cui inizia la sua opera di svelamento della Creazione: Egli proprio cingendo una corona, che si rivela essere sempre più intrecciata di spine, sulle orme del suo Signore e Maestro, riesce a contrastare e a porre un argine allazione diabolica scatenata dagli altri cavalieri successivi (cfr Ap 6,2 ss.).

 

Per questo, e solo per questo, l’Agnello è degno di aprire i sigilli, di risolvere gli enigmi del mondo, nella cui fisicità Egli è pienamente inserito, mediante la sua corporeità, seppure imperfetta. Proprio in questo modo Egli può togliere il velo alla Creazione, mostrandola in tutto il suo realismo, e tuttavia con tutte le implicazioni soprannaturali che essa stessa ha in sé ab initio. A Lui solamente è demandato questo compito: Egli è il leone di Giuda, il Germoglio di Davide, il Verbo incarnato.

 

Vediamolo meglio: nelle benedizioni e negli oracoli del patriarca Giacobbe riguardanti i suoi figli, a Giuda, che è descritto come un giovane leone, si promette che non sarà tolto lo scettro, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli (Gn 49,10). Questo innominato a cui è dovuta obbedienza è evidentemente una figura messianica, che verrà alla fine dei tempi. Egli lega alla vite il suo asinello | e a una vite scelta il figlio della sua asina,  | lava nel vino la sua veste | e nel sangue dell’uva il suo manto (49,11).

 

Questa immagine agreste – la vite, il vino – assume chiaramente una valenza eucaristica: il Messia che torna legherà la sua intera missione al Santo Sacrificio, che ripropone in maniera incruenta la Morte in croce del Salvatore. I Sinottici ci riportano difatti le parole dellUltima cena: «In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25, cfr Mt 26,29). Egli perciò laverà nel vino la sua veste, che è proprio quel corpo “imperfetto” di cui è portatore, suo malgrado; mentre il manto che lava nel sangue dell’uva  è figura che evoca la Chiesa stessa, tanto che alla fine della sua missione Egli potrà dare alla sua Sposa una veste di lino puro e splendente (Ap 19,8; cfr Ef 5,25-27). Vedremo meglio in che modo.

 

Ancora nell’Apocalisse viene raffigurato l’Agnello avvolto in un mantello intriso di sangue (19,13), proprio perché Egli avrà lavato nel sangue dell’uva il suo manto. Questa necessità si mostra tanto più essenziale, ora che ai vertici della Chiesa si è manifestato in maniera dirompente il mysterium iniquitatis di cui ci parla San Paolo (2Ts 2,7), la cui satanica parusia esiziale mostrerà lassoluta provvidenzialità della missione salvifica dellAgnello di Dio: allabominio della devastazione (Mt 24,15) che già si annuncia, pone un rimedio insuperabile lofferta “sacerdotale” del Figlio spirituale da parte della Madre di Dio e della Chiesa, fatta col suo Cuore Immacolato: vincolo damore che unisce lUno allAltra.

 

Avverrà proprio che quando dalla faccia della terra sarà bandita lEucaristia, ci sarà pur sempre un alter Christus, un “corpo” che proprio facendosi “pane” miracolo sacrificale velatamente riconducibile allesperienza del Cappuccino stigmatizzato di Pietrelcina , darà adempimento allultima Pasqua, che conclude i tempi: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio delluomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo» (Gv 6,27).

 

Vi è opportunamente da osservare che l’unica parola aramaica taljā’, che compare nel passo isaiano preso in considerazione, ha un molteplice significato: può voler dire sia “agnello” sia “giovanetto”, come pure “servitore”. La coincidenza di accezioni è quantomai indicativa e del tutto funzionale al nostro discorso, perché quell’ “agnello”, il cui “corpo” è stato immolato, è proprio quello di un “ragazzo”, che nella sua piena maturità di uomo si rivela essere il vero “servitore”, che porta su di sé il peccato del mondo. E si badi bene “peccato” al singolare, come pure riporta la Vulgata – peccatum mundi – e il testo originale in Greco τν μαρτίαν το κόσμου , perché quell’Agnello di Dio, se è vero che porta su di sé i “peccati del mondo” (cfr Is 53,12), lo fa perché essi sono la conseguenza di quell’unico primordiale “peccato”, commesso dal primo Adamo agli albori della Creazione, che ebbe come conseguenza la corruzione della natura umana per propagazione, di generazione in generazione.

 

Si mostra in tutta la sua portata il vero significato del culto della Divina Misericordia, istituito dal papa Giovanni Paolo II nella Seconda domenica di Pasqua: è proprio lAgnello di Dio, Vittima e Sacerdote, che rinnovando sopra laltare il Sacrificio redentore di Nostro Signore Gesù Cristo, offerto sulla Croce, il quale distrugge i peccati (Rm 11,27), e portando alle estreme conseguenze quel suo gesto sacramentale fino al martirio, può realmente farsi strumento di vera Misericordia, donata facendosi guida, dal sangue allacqua, attraverso lo stretto passaggio della immutabile Verità evangelica, fonte di vera giustizia.

 

Ed infine, comprendiamo che proprio questo atto di obbedienza fino all’estremo sacrificio, fino al “battesimo di sangue” che pone fine alle sue sofferenze, così come raccontato nella Visione profetica di Fátima, consente all’intera creazione, che geme e soffre le doglie del parto (Rm 8,22), ed in primis alla Chiesa di cui Egli è il vero Pastore e Capo, di sfuggire alla morsa del maligno, di riabilitarsi agli occhi di Dio, tanto che proprio in questo modo Egli si rivela essere fino in fondo il vero agnello pasquale (1Cor 5,7): E quando tutto gli sarà sottomesso, anchegli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28).

 

Mediante il suo “sangue” prezioso, in cui tutto sussiste, che è divenuto “acqua”, come quella Sorgente di immacolatezza da cui è stato generato spiritualmente, che è la Vergine Maria, proprio perché fino in fondo ha lavato nel vino la sua veste (Gn 49,11), Egli elargisce il dono della salvezza, portando a compimento il segno di Cana: Il terzo giorno ci fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli (Gv 6,1s).

 

In effetti, questa immagine sponsale, che porta a piena perfezione la storia della Redenzione, lascia intendere una significativa allusione a quella antica promessa del Creatore, al tempo del Primo Esodo: «Vi farò entrare nella terra che ho giurato a mano alzata di dare ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe; ve la darò in possesso» (Es 6,8). In questo passo, il “far entrare” descrive l’ultimo atto di un matrimonio, nel momento in cui la sposa poteva accedere nella casa dello sposo. Così comprendiamo che queste Nozze escatologiche dell’Agnello con la sua eterna Sposa che è la Chiesa, al cui anulare il Nazzareno aveva infilato la fede nuziale dall’alto della Croce mediante il suo “sangue”, vengono celebrate proprio facendo in modo che questo “sangue” sigilli eternamente, nella loro immacolatezza, gli invitati al banchetto nuziale (cfr Ap 19,9).

 

 

Il terzo giorno ci fu una festa di nozze. Ecco vediamo che queste Nozze escatologiche possono essere celebrate soltanto il “terzo giorno”, che è il giorno della Resurrezione, anche per l’intero Corpo mistico di Cristo. Questa singolare coincidenza temporale, l’evangelista Giovanni la ripropone nel suo sublime Vangelo, proprio nel primo capitolo. Anche se le indicazioni cronologiche non sono chiarissime e piuttosto controverse, possiamo ricavare che l’episodio delle Nozze di Cana avviene “il terzo giorno” dopo il Battesimo di Gesù.

 

Ed allora tutto ci appare finalmente chiaro. Comprendiamo nella sua profondità il vero significato delle parole del Battista: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!» (Gv 1,29). Il cerchio si chiude: proprio mediante il suo Corpo trafitto, dalle cui piaghe siamo stati guariti (Is 53,5), che è quella sorgente zampillante per lavare il peccato e limpurità, di cui parla il profeta Zaccaria (13,1) e a cui fa riferimento il Quarto Vangelo in conclusione del racconto della Crocifissione di Gesù, il Pastore che è divenuto agnello, che ha espiato fino alla fine il peccato del mondo, lavandolo nel suo sangue, è il Trafitto, il Salvatore del mondo. Dal suo trono, che è la Croce dice lApocalisse scaturisce un fiume dacqua viva, limpido come cristallo (22,1): il suo sangue divenuto acqua, che tutto purifica e rinnova.

     Solo così, solo nella sofferenza vicaria di questuomo cha ha spogliato se stesso fino alla morte (Is 53,12), può essere intesa la significativa espressione di SantAgostino: Deus homo factus est, ut homo Deus fieret, Dio si è fatto uomo, perché l’uomo si facesse Dio (Sermo 371,1, De Nativitate Domini : PL 39, 1659). Sì, alla fine della salita del Monte, che egli può portare a termine perché ha mani innocenti e cuore puro (Sal 24,4), sotto la grande Croce ai cui piedi cade trafitto, il Figlio spirituale di Maria, offerto al Padre celeste col suo Cuore Immacolato in sacrificio di riparazione, è il Cristo Signore.

 

In questo modo Egli si rivela essere realmente lAmato dal Padre, la cui voce potente irrompe dai cieli squarciatisi, quando il suo Battesimo palingenetico, che tutto riconcilia e rigenera, verrà portato al suo estremo compimento: «Questi è il Figlio mio, lamato: in lui ho posto il mio compiacimento!» (Mt 3,17).
 

Il libro dell’Apocalisse, che compendia tutta la storia della salvezza, ci fa intendere ancora una volta questa sublime verità:

 

Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro.

 

Non avranno più fame né avranno più sete,

non li colpirà il sole né arsura alcuna,

perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono,

sarà il loro pastore

e li guiderà alle fonti delle acque della vita.

E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

 

In questi significativi versetti vediamo realmente la Pasqua della Chiesa: i salvati – molti, ma non tutti – che accedono al Regno, sono “vestiti di bianco”[4] – dice letteralmente il testo – perché hanno potuto lavare le loro vesti, i loro corpi, rendendoli immacolati nel sangue dell’Agnello. Non possiamo non meravigliarci della singolare coincidenza lessicale, che ritroviamo nel testo del messaggio di Fátima vergato dalla suora portoghese:

 

E vimos n’uma luz emensa que é Deus: ... um Bispo vestido de Branco “tivemos o pressentimento de que era o Santo Padre”.

 

E vedemmo in una luce immensa che è Dio: … un Vescovo vestito di Bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre”.

 

Comprendiamo così il reale significato di questa affermazione apparentemente paradossale: i salvati sono “vestiti di bianco”, perché hanno potuto lavare e rendere candide le loro vesti nel sangue di Colui che è il Vestito di Bianco, cioè l’Agnello di Dio immacolato, il Figlio spirituale di Colei che in terra portoghese si era mostrata come la Senhora vestida de branco[5]; unico che può donare, col suo estremo Sacrificio, la salvezza.

 

 

Ed infine, vorrei concludere questa mia dissertazione, riportando le parole di Gesù, che rivelano in che modo questo mistero pasquale dellintera Creazione si potrà adempiere:

 

«Un uomo piantò una vigna, la diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano per molto tempo. Al momento opportuno, mandò un servo dai contadini perché gli dessero la sua parte del raccolto della vigna. Ma i contadini lo bastonarono e lo mandarono via a mani vuote. Mandò un altro servo, ma essi bastonarono anche questo, lo insultarono e lo mandarono via a mani vuote. Ne mandò ancora un terzo, ma anche questo lo ferirono e lo cacciarono via. Disse allora il padrone della vigna: «Che cosa devo fare? Manderò mio figlio, l’amato, forse avranno rispetto per lui!». Ma i contadini, appena lo videro, fecero tra loro questo ragionamento: «Costui è l’erede. Uccidiamolo e così l’eredità sarà nostra!». Lo cacciarono fuori della vigna e lo uccisero. Che cosa farà dunque a costoro il padrone della vigna? Verrà, farà morire quei contadini e darà la vigna ad altri».

Udito questo, dissero: «Non sia mai!». Allora egli fissò lo sguardo su di loro e disse: «Che cosa significa dunque questa parola della Scrittura:

 

La pietra che i costruttori hanno scartato

è diventata la pietra d’angolo?

 

Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e colui sul quale essa cadrà verrà stritolato» (Lc 20,9-18).

 

Accadrà dunque che a ciascuno verrà dato il suo: il servo cacciato  e confinato nel “recinto di Pietro”, i vignaioli che si impadroniscono della vigna, credendo di farla franca, l’amato il vero erede , messo a morte, che proprio in questo modo prenderà possesso della vigna …




[1] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, II, Città del Vaticano 2011, p. 154. Sulla questione vd. anche Lettera di Sua Santità Benedetto XVI al Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca (14 aprile 2012).

[2] J. Ratzinger-Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Città del Vaticano 2007, p. 38.

[3] Orig., Com. in Joh. VI, 60, 306-307, in Il Cristo, I. Testi teologici e spirituali dal I al IV secolo, edd. A. Orbe-M. Simonetti, Milano 20056, pp. 316-317: Πάλιν ν τ τόπ ρακλέων ... ποφαίνεται τι «τ μν μνς το θεο ς προφήτης φησν ωάννης, τ δ αρων τν μαρτίαν το κόσμου ς περισσότερον προφήτου. Κα οεται τ μν πρότερον περ το σώματος ατο λέγεσθαι, τ δ δεύτερον περ το ν τ σώματι, τ τν μνν τελ εναι ν τ τν προβάτων γένει, οτω δ κα τ σμα παραθέσει το νοικοντος ατ». «Τ δ τέλειον ε βούλετο», φησί, «τ σώματι μαρτυρσαι, κριν επεν ν τ μέλλον θύεσθαι.

[4] L’originale in Greco riporta: Κα πεκρίθη ες κ τν πρεσβυτέρων λέγων μοι· Οτοι ο περιβεβλημένοι τς στολς τς λευκς τίνες εσν κα πόθεν λθον; amicti stolis albis nella Vulgata.

[5] «Era una Signora, tutta vestita di bianco, più brillante del sole che diffondeva luce più chiara e intensa che un bicchiere di cristallo pieno di acqua cristallina, attraversato dai raggi del sole più ardente» (Lúcia dos Santos, Lucia racconta Fatima. Memorie, lettere e documenti di Suor Lucia, Brescia 19872, p. 118). Si racconta la Prima Apparizione, del 13 maggio 1917.

 
« Ecco l'Agnello d Dio, colui che toglie il peccato del mondo! »
« Ecco l'Agnello d Dio, colui che toglie il peccato del mondo! »

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