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a persecuzione contro i Cristiani vera e propria venne preceduta, sin dalla primavera-autunno del 297 – data contestata da alcuni studiosi –, da una fase “militare”, applicata dal responsabile dell’esercito Veturio, voluta dal pagano tradizionalista Diocleziano – augusto senior, che esercitava un’autorità preminente – influenzato dagli aruspici (Eus., Hist. eccl. III,1; VIII; Lact., De mort. persec. IX,12; X,1; Id., Divin. Inst. IV,27,4). |
Era stata generata dall’asserita incompatibilità del Cristianesimo col servizio di leva, e portò dapprima all’emarginazione e poi alla vera e propria persecuzione dei soldati cristiani – una vera e propria epurazione –, durante la quale per due volte venne decimata la legione Tebana, di stanza ad Agaunum nelle Gallie [od. St. Maurice nel Canton Vallese (Valais), Svizzera], fino al suo completo sterminio.
Caddero, tra gli altri, gli ufficiali Maurizio, Candido, Essuperio e Vittore (Eucher. Lugd.,
Passio Acaunensium mart.); da ricordare pure il martirio dei Quattro Santi Coronati (Clemente, Semproniano, Claudio e Nicòstrato); del tribuno della coorte pretoria
Sebastiano, che subì il supplizio delle frecce nello stadio del Palatino, in hippodromo, per poi essere finito nei giardini ove attualmente sorge la chiesa di San
Sebastiano in Palatio. Tuttavia nel primo Concilio di Arles (314) si era deciso: «De his qui arma proiciunt in pace placuit abstineri eos a communione» (can.
3). |
All’alba del 23 febbraio del 303, giorno della festa pagana dei Terminalia, a Nicomedia venne compiuta una prima operazione dimostrativa: le porte della cattedrale cristiana, che si ergeva davanti al palazzo imperiale, vennero forzate, le scritture trafugate e bruciate, il santuario distrutto. Il giorno seguente venne affisso nella residenza imperiale e per le strade cittadine il primo editto di persecuzione (Lact., De mort. persec. XII,1; ma non disponiamo del testo esatto e completo), che ordinava che in tutto l’Impero fossero distrutte le chiese, come pure – sembra – le case cristiane adoperate regolarmente per le cerimonie, e che conseguentemente si proibissero le riunioni di culto. I libri santi e gli archivi dovevano essere consegnati e pubblicamente dati alle fiamme. Si prescriveva inoltre che i Cristiani venissero privati delle cariche, delle dignità e dei privilegi di cui erano titolari.
I Cristiani di alto rango – gli honestiores –, venivano colpiti da infamia, privati del diritto di ricorrere in giudizio per sostenere un’accusa, anche d’adulterio, di furto e d’ingiurie; li si privava inoltre dell’immunità dalla tortura e, in caso di condanna, erano previste pene infamanti. I dignitari cristiani erano degradati; i funzionari del palazzo, della burocrazia e dell’amministrazione venivano privati della loro libertà. Infine si stabiliva che gli schiavi cristiani non avrebbero potuto ottenere la libertà e si disponeva la riduzione in schiavitù dei liberti cristiani impiegati nel servizio civile. Tanto era previsto, sicché Lattanzio termina l’esposizione con le parole «libertatem denique ac vocem non haberent» (ibid.), mentre Eusebio più sinteticamente scrive: «τοὺς δ̉ὲν οι̉κετίαις ει̉ ε̉πιμένοιεν τη̃ τω̃ν κριστιανισμου̃ προθέσει ε̉λευθερίας στερει̃σθαι» [Coloro che erano cittadini, in caso di perseverante professione di cristianesimo, dovevano essere privati della libertà] (Hist. eccl. VIII,2,4). Ricordiamo, tuttavia, che questo primo editto non prevedeva esplicitamente la pena capitale.
Malgrado ciò, nella stessa Nicomedia si ebbero ben presto i primi martiri: non appena affisso, l’editto venne strappato da un dignitario della corte imperiale – pare a nome Euethius –, al grido di «Più vittorie sui Goti e sui Sarmati!», che fu immediatamente arso vivo [«legitime coctus» dice Lattanzio (De mort. persec. XIII,3; vd. anche Eus., Hist. eccl. VIII,5)]. Alcuni domestici della corte imperiale, poi, tra cui i ciambellani imperiali Doroteo e Gorgonio e il cubicularius Pietro, pagarono con la vita, dopo atroci supplizi, la loro professione di fede. Due incendi scoppiati nella residenza imperiale, infine, furono attribuiti ai cristiani, per cui chi si rifiutava di sacrificare venne arrestato e mandato a morte, anche senza processo, e tra questi numerosi sacerdoti e diaconi; stessa sorte toccò al vescovo Antimo e a diversi altri funzionari di corte e servi della casa imperiale (Eus., Hist. eccl. VIII,2,4; Lact., De mort. persec. XIII,1). Il furore di Diocleziano si scatenò «iam non in domesticos tantum, sed in omnes» (ibid. XV,1); perfino la moglie e la figlia, Prisca e Valeria, probabilmente filocristiane, furono costrette a sacrificare, mentre gli «iudices per omnia templa dispersi universos ad sacrificia cogebant», come al tempo di Decio (ibid. XV,4). |
A mano a mano che le lettere imperiali fornivano ai governatori le necessarie istruzioni, anche le altre province avviarono la repressione, visto che, malgrado la Tetrarchia, l’Impero rimaneva patrimonium indivisum, benché governato da quattro principes mundi [«germani geminive fratres» dice il retore Mamertino (Pan. III,6,2)].
Nella prefettura d’Italia (con Rætia e Africa a occidente della Grande Sirte) gli edicta, obbligatori per tutti e quattro i dinasti, furono applicati – è da ritenere con un certo accanimento – dall’augusto Massimiano (Lact., De mort. persec. XV,6).
Nella prefettura dell’Illyricum, governata dal cesare Galerio (Mœsiæ con la Macedonia, Epirus, Achaia, Creta, le Pannoniæ con la Dalmatia e il Noricum), non si registrano azioni particolarmente cruente, anche perché il nuovo credo era penetrato assai limitatamente. Da menzionare il vescovo e teologo Vittorino di Poetovio, il vescovo Domnio, il diacono Settimo e i laici Anastasio e Asterio a Salona; il vescovo Ireneo, il diacono Demetrio e il laico Sinero (o Sinerota) a Sirmium [od. Sremska Mitrovica, Serbia].
Nella prefettura delle Galliæ (Hispaniæ con la Mauretania Tingitana, Viennensis, Galliæ fino al Reno e Britanniæ) invece, dove regnava il cesare Costanzo Cloro, padre di Costantino, che era seguace del culto solare, adoratore del «summus Deus», ed incline a sentimenti di pietà – tanto che alcune fonti gli attribuiscono i titoli di clementissimus, piissimus, fundator pacis –, la persecuzione fu sporadica e la sua azione si limitò praticamente alla distruzione degli edifici, «ne dissentire a maiorum præceptis videretur» (ibid.).
Con l’abdicazione di Diocleziano (1° maggio 305) e l’avvento della seconda Tetrarchia, in Italia e a Roma, salito al potere l’usurpatore Massenzio (28 ottobre 306), eletto augusto dal popolo e dai pretoriani, simulando la professione di fede cristiana per compiacere ed accarezzare il popolo romano, ordinò «di attenuare la persecuzione contro i cristiani» (Eus., Hist. eccl. VIII,14, 1); difatti quasi subito egli restituì loro la libertà di culto, come pure fece – pare – nel 311 per i beni ecclesiastici confiscati (ibid.). Tuttavia in Oriente, dov’erano subentrati come augusto il feroce Galerio e come cesare un «adolescentem semibarbarum», venuto «nuper a pecoribus et silvis» (Lact., De mort. persec. XVIII,13; XIX,6), cioè l’ancor più sanguinario suo nipote Massimino Daja (Daza), essa riprese a partire dall’inizio del 306, con l’obbligo esteso a uomini, donne e bambini di sacrificare agli dei.
Qui, ancora nel 309, la repressione s’incrudelì ulteriormente con l’emanazione del c.d. “quinto editto”, secondo cui occorreva consacrare agli dei pagani i cibi messi in vendita nonché ricostruire i templi pagani e che tutti, lattanti compresi, dovessero presenziare ai sacrifici, consumati perfino nei bagni pubblici. |
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Vincenzo G. (domenica, 08 novembre 2015 18:53)
Attenzione, perché leggendo questo sintetico saggio così ben documentato, mi è venuto il pensiero che sia attualissimo. Visto come si stanno mettendo le cose, che "editti" simili vengano promulagati, in combutta con i nuovi padroni della Chiesa, mi pare del tutto plausibile.