S. Pardo traslazione
PETRUS TERMULENSIS (?)
Ingresso
del corpo di S. Pardo in
Larino
(fine XIV-inizio XV sec.)
![]() |
a tradizione corrente che lega le figure dei Santi Martiri Larinesi Primiano, Firmiano e
Casto a quella del Santo vescovo Pardo riporta che le reliquie dei primi vennero trafugate nell’842 – all’indomani della “distruzione” della
città di Larino attuata dai Saraceni –, per mano di Lucerini trasferitisi a Lesina dopo un’analoga
devastazione operata dall’imperatore bizantino Costante |
II nel 663, nel corso della sua spedizione contro i Longobardi nel Meridione d’Italia; ed anche il vescovo vi avrebbe trasferito la propria cattedra (G.B. Pollidoro, Vita et antiqua monimenta Sancti Pardi…, pp. 45, 48-50; G.A. Tria, Memorie Storiche… , pp. 744-745;).
Credo sia utile, per cominciare, ripercorrere brevemente le gesta del basileus bizantino e fornire le minime coordinate storiche che legano Lesina e Lucera, per meglio intendere gli eventi che più ci riguardano da vicino:
l’Imperatore era sbarcato a Taranto all’inizio del 663; da qui mosse col suo esercito verso l’interno, procedendo in un tracciato tortuoso. Assediò invano Acerenza [prov. Potenza], mentre riuscì a prendere Hordona, Æcæ, Luceria ed altri centri minori. Giunto sotto le mura di Benevento, retta dal giovane duca Romualdo (662-677), Costante cinse d’assedio la città. Romualdo chiese di venire a patti, dando in ostaggio la sorella Gisa, talché il basileus tolse l’assedio e si diresse a Napoli. Lungo il percorso venne aggredito dalle truppe del conte Mitola di Capua; poco dopo, a rompere la tregua, si ebbe uno scontro presso Forino [Avellino], quando ormai re Grimoaldo, padre del Duca beneventano, era giunto dal nord coi rinforzi sperati.
|
Da Napoli, il sovrano si diresse a Roma lungo la via Appia, scontrandosi col nemico nei pressi di Formia [Latina]. Il 5 luglio raggiunse Roma, dove si trattenne – ospite del papa Vitaliano – fino al 17; indi tornò a Napoli e scese a Reggio Calabria. Verso la fine dell’anno l’Imperatore attraversò lo stretto di Messina e si stabilì a Siracusa, dove cercò di organizzare un’efficace difesa contro gli Arabi. Qui, il 15 luglio o 15 settembre del 668, fu ucciso dal cortigiano Andrea, figlio di Troilo, mentre era immerso in una vasca nei bagni di Dafne. Il complotto è da ritenere ispirato dalla fazione armena filo-araba in seno alla corte [Paul. Diac., Hist. Lang. V,6-12 : MGH, Script. rer. Lang. et Ital. sæcc. VI-IX, pp. 146-150; Lib. Pont., I, pp. 343-344; breve sintesi dei fatti in R. Maisano, La spedizione italiana dell’imperatore Costante II, pp. 140-168, in partic. pp. 141-143; più addentro all’argomento P. Corsi, La spedizione italiana di Costante II, Bologna 1983].
Per quanto riguarda la distruzione di Lucera, la notizia ci viene riportata da Paolo Diacono in questi termini:
Igitur cum, ut diximus, Constans augustus Tarentum venisset, egressus exinde, Beneventanorum fines invasit omnesque pene per quas venerat Langobardorum civitates cepit. Luceriam quoque, opulentam Apuliæ civitatem, expugnatam fortius invadens diruit, ad solum usque prostravit.[1]
Tuttavia molti appaiono ancora oggi i lati oscuri della vicenda. La storiografia moderna ha difatti ritenuto poco credibile la notizia di un Costante II (641-668) distruttore di città e dissacratore di reliquie, vista l’origine longobarda delle fonti (Paolo Diacono) [P. Corsi, op. cit., pp. 136 ss.; G. Schiraldi, La comunità cristiana di Lucera…, p. 56].
La devastazione della città dauna non era del resto resto giustificata, poiché non si ha notizia di una partecipazione popolare alla difesa, sola cosa che avrebbe motivato una così dura reazione dell’Imperatore assediante, il quale non avrebbe avuto alcun interesse ad alterare drammaticamente il quadro socio-economico dell’area (C. D’Angela, Dall’era costantiniana ai Longobardi, pp. 357-358). Per Pasquale Corsi, difatti, la spedizione di Costante II è servita solo come «riferimento emblematico, sia per fornire spiegazioni fabulose di decadenze più o meno illustri, sia per nobilitare – indirettamente – origini troppo recenti» (P. Corsi, L’episcopato pugliese nel Medioevo, p. 25).
Alcuni elementi, non del tutto esplicitati nelle fonti antiche, lascerebbero abbastanza chiaramente intendere quali fossero, al contrario, i reali obiettivi della spedizione dell’Imperatore bizantino: il percorso tortuoso prima di arrivare alla capitale del ducato longobardo (Benevento), toccando invece alcuni centri della Lucania (Venosa), dove sappiamo essere stati consistenti gli insediamenti di Ebrei dell’esilarcato ebraico babilonese – che più volte avevano favorito l’espansione araba nei territori da essi abitati (ad es. la Spagna visigotica) –, mostrerebbe quale potrebbe essere stata la premura del papa Vitaliano e di Costante II nello scardinare una potenziale alleanza tra i Longobardi di Benevento e gli Arabi che da più parti assediavano l’Impero d’Oriente, con la complicità di colonie ebraiche ai confini meridionali del ducato (R. Maisano, art. cit., pp. 158 ss.).
|
Per altri studiosi, invece, l’origine della sede vescovile lesinese va riferita al trasferimento, nel V-VI secolo, della cattedra episcopale dal vicino centro di Teanum Apulum, di cui il vicus di Lisinam, sul lacus Pantanus [od. Lago di Lesina], era da secoli emporio sul mare. Alla città è attribuito un Calumnioso Alesino episc., che partecipò al Concilio Lateranense nel 649 (C. D’Angela, loc. cit., p. 331; G. Schiraldi, art. cit., p. 56).
Ciò che appare comunque certo è che l’esistenza di alcuni vescovi di Lucera, i quali avevano la loro residenza a Lesina, è documentata in una cartula del 1032, menzionante un vescovo Giovanni, in cui emerge chiaramente la dipendenza di Lesina dalla sede vescovile di Lucera:
Ego Iohannes gr(ati)a Dei episcopus sanctæ sedi Lucerie, declaro enim intus civitate Lisine, qui est pertinentie nostre sedis episcopii […] Ego qui supra Iohannes peccator episcopus sanctæ sedis Lucerie.[4]
|
Tornando agli accadimenti che interessano le vicende agiogarfiche di cui stiamo trattando, sappiamo che, stando sempre alla tradizione, al pio latrocinio delle sacre spoglie dei Santi Primiano e Firmiano nell’842 sarebbe succeduta la rivalsa dei Larinati sul corpo dissepolto del
“lucerino” San Pardo – essa pure dunque un furtum sacrum –, «cujus Translatio celebratur VII.Kal. Junii»[5], vale a dire il 26 maggio di
quell’anno.
La tradizione riporta poi l’episodio dei buoi che si rifiutarono di proseguire perché assetati, quindi l’intervento miracoloso del nuovo Patrono e la successiva deposizione delle sue reliquie in città.
Ma fu proprio questo il modo in cui si verificarono gli eventi?
Rileggiamo dunque le fonti che ci sono pervenute, vale a dire le due Vite; l’una – la cosiddetta Vita brevior[6] – redatta da un anonimo autore del X secolo, l’altra – la Vita prolixior[7]– compilata nel XIII secolo da un levita della Chiesa larinese, tal Radoyno,
su incarico di una matrona larinese a nome Mirata.
Nella Vita brevior si parla dei Larinati che «omnes se armis præparantes – ovviamente con l’intenzione di assalire i responsabili del furto, ma vi avrebbero presto rinunciato –, properarunt Luceriam» (Vita brevior 4; vd. anche Vita prolixior X). E già a questo punto c’è qualcosa che non quadra, perché si darebbe per assodato il collegamento tra le due città senza ulteriori passaggi: i Larinesi si diressero armati a Lesina, ma poi si fiondarono in direzione di Lucera. Perché? Si cercherà, più oltre, di colmare la lacuna.
Appare ad ogni modo curioso, a una prima valutazione, il ritenere che a quell’epoca ci si preparasse ad assaltare un centro abitato – sempre che ciò fosse cristianamente accettabile – muovendosi con carri trainati da buoi: sarebbe stata una disfatta completa!
Ma nelle due Vite del Santo, in verità, mai si parla di una carro trainato da buoi sul quale vennero deposte le Sacre Spoglie, ed anzi nella
Vita prolixior si dice esplicitamente che «antequam propinquassent portæ Civitatis, Vectores ipsius S. Pignoris
sustiterunt, non valentes incedere» (Vita prolixior X)[8], sicché,
dopo incessanti preghiere, «B. Pardus Confessor, et Pontifex divino munere motus: et gressus
redidit hominum, et prosperum iter eundi ad Civitatem» (Vita prolixior X); e poco oltre si dice ancora che «omnes vectores, et obsecutores ipsius sancti Pignoris elevantes illud
cum hymnis, et canticis, et omni honore, introduxerunt in Larinensem Civitatem Corpus B. Pardi Episcopi, et Confessoris, et posuerunt eum in Ecclesiam S. Dei Genetricis, et Virginis Mariæ» (ibid.).
Pertanto non furono i buoi a trasportare il Corpo del Santo all’interno della città di Larino. |
Ricordiamo, a questo punto, che il bassorilievo ligneo un tempo incassato in un confessionale posto sotto il pulpito della Cattedrale di San Pardo, detto «del Vescovo», che riproduce “L’ingresso del corpo di San Pardo in Larino”, in cui è raffigurato un carro trainato da buoi che trasporta una grossa cassa – fin troppo grossa per contenere i resti di un corpo seppur ritenuto incorrotto –, atteso da un vescovo – ma a quell’epoca la città ne era sprovvista – e da alcuni chierici, attribuito con qualche dubbio a un certo Petrus Termulensis, è di epoca assai più tarda (fine XIV-inizio XV secolo), quando cioè oramai il racconto agiografico, così come lo conosciamo, si era strutturato e consolidato nella coscienza del popolo. Del tutto differente anche la raffigurazione dei buoi [sul rilievo: M.S. Calò Mariani (ed.), Due cattedrali del Molise. Termoli e Larino, pp. 86-87 e figg. 67a, b; G.A. Tria, op. cit., p. 307; A. Magliano, Brevi Cenni storici …, p. 53; per l’attribuzione A. Vitiello, La Cattedrale di Larino, pp. 57-58; per la nomenclatura del carro di San Pardo vd. il disegno dell’Autore in N. Stelluti, op. cit., pp. 16-17].
|
Parrebbe pertanto che tutto l’apparato decorativo del carro e dei buoi sia stato escogitato
successivamente. Rileviamo inoltre che il clero cittadino si pone in attesa del sacro corteo al di là di un piccolo
corso d’acqua – il torrente Cigno? –, avvalorando in tal modo l’idea che a condurre le preziose Spoglie sia stato un gruppo composto da laici, benché sopra il carro siano presenti
due armigeri, a cui però nel racconto agiografico della translatio non si fa alcun cenno.
|
Se appare tuttavia difficile sostenere che le spoglie mortali del nuovo Patrono potessero essere trasportate a spalla dal suburbio di Lucera a Larino, non resta che ipotizzare l’uso di un qualche altro mezzo di trasporto. A parer mio esse furono adagiate, con tutti gli onori, su uno di quei carri trainati da cavalli normalmente adoperati per muoversi nelle campagne, utilizzato anche per raggiungere la Grotta di San Michele Arcangelo sul Gargano.
Per mio conto, in definitiva, le reliquie di San Pardo furono asportate dalla città di Lucera al ritorno da un pellegrinaggio al Santuario garganico di San Michele. In pratica potrebbe essere accaduto che una “compagnia” proveniente da Larino, composta come d’abitudine da persone appiedate e da carri trainati da cavalli su cui stavano vecchi e bambini, s’incaricasse, dopo l’espletamento della visita al Santuario dell’Arcangelo per propiziare il suo celeste sostegno e magari cercando tra i pellegrini colà convenuti notizie sulle reliquie incustodite di qualche altro Santo, di impossessarsene pacificamente.
|
Tra quelle comitive di pii viandanti non saranno certo mancate conoscenze di tombe venerate e temporaneamente incustodite a motivo delle continue scorrerie saracene, che avrebbero interessato, qualche anno dopo (869), anche il Santuario garganico di San Michele (Hincmar. Rhem., Ann. : MGH, Scriptores I, p. 485; sull’avvenimento cfr. anche C. Angelillis, Il Santuario del Gargano…, II, pp. 266-267; G. Musca, L’emirato di Bari…, pp. 108-109, 136-138).
Il riferimento alla città di Lesina nei due racconti agiografici non creerebbe problema, giacché non si ha difficoltà ad ammettere che in quei primi giorni di maggio dell’842 la “compagnia” larinese si sia prefissata l’obiettivo di trovare una soluzione al grave oltraggio subito, vale a dire il furtum sacrum dei resti mortali dei Santi Primiano e Firmiano, avvenuti a seguito dell’incursione saracena di quella primavera ovvero dell’anno prima. È pertanto non inverosimile ritenere che quell’anno i pellegrini larinesi diretti al Santuario del Gargano abbiano tentato un approccio – credo del tutto pacifico – nei confronti degli abitanti della città lacuale, che avrebbero raggiunto percorrendo la Via Sacra Langobardorum lungo la Valle di Stignano, ma che vi abbiano presto rinunciato per non alienarsi la divina protezione nell’impresa che si erano determinati di portare a termine.
Dobbiamo pertanto immaginare che, a partire dal 9 maggio di quell’anno – successivo alla festa[22] dell’Apparizione dell’Arcangelo Michele –, la “compagnia” di Larino si sia aggirata per le campagne del Tavoliere alla ricerca di un Corpo Santo di cui appropriarsi; che abbia girovagato per quelle terre per qualche giorno e che, in prossimità della festa dei Martiri del 15 maggio, abbia tentato un contatto pacifico con gli abitanti di Lesina, dove i corpi dei due Martiri erano custoditi, che abbia camminato per quelle terre per una settimana ancora, valutando il da farsi, e che si sia imbattuta – non stentiamo a credere con l’aiuto divino – nella tomba del vescovo Pardo in un’area cimiteriale del suburbio della città di Lucera – che io proprongo si trovasse in località San Giusto –, benché essa non fosse normalmente toccata dai pellegrini provenienti dal Larinate; talché non è inverosimile ritenere che proprio i Lesinesi, antichi abitatori di Lucera, abbiano dato quella indicazione utile ai componenti la “compagnia” di Larino, poiché quel Santo era ancora assai venerato sin dai tempi dei loro padri.
La permanenza della “compagnia” larinese in quel sito si sarà certamente protratta per qualche giorno, poiché era necessario accertarsi della esatta identificazione della tomba del santo Vescovo. Alla fine quei Sacri Resti saranno stati adagiati, con tutti gli onori, su uno dei carri di cui la “compagnia” micaelitica disponeva – sarà stato certamente il più nuovo, bello e funzionale ovvero si sarà trovato qualche espediente per scegliere il carro più degno – e tra canti e preghiere il sacro corteo si sarà messo in marcia per far ritorno a Larino. La Vita prolixior riporta che la processione era accompagnata «da fiaccole accese e da incensi»[23], per cui dovremmo pensare che essa prese avvio al tramonto o nelle prime ore della sera, la qual cosa mi pare invero assai poco plausibile.
Difatti la più antica Vita brevior nulla ci dice a proposito delle fiaccole. Si potrebbe ipotizzare che questo particolare presente nel racconto agiografico volesse riproporre il modo in cui si svolgeva il culto liturgico dei Santi Martiri Larinesi durante la statio alla vigilia della loro festa. |
Verosimile che, in prossimità delle porte della città – ipotizzabile il guado sul torrente Cigno lungo la Via Litoranea di cui abbiamo detto, sempre che i Larinesi non abbiano preferito il collegamento meridionale, più rapido e diretto – il prezioso reperto sia stato trasportato a spalla fino alla chiesa dedicata alla Sancta Dei Genetrix et Virgo Maria, come difatti è raccontato nelle due Vite. In teoria sarebbe bastata anche una sola persona, vista l’antichità di quei resti, ma le fonti ci riportano chiaramente – e non abbiamo motivo di dubitarne – che «repererunt Sanctum Corpus intactum, minus tantùm uno pollice» (Vita prolixior X), ragion per cui non si ha difficoltà ad ammettere che necessitarono diversi portatori, proprio come riportato nella Vita prolixior.
Circa l’ubicazione della Chiesa mariana in cui furono inizialmente deposte quelle Spoglie mortali, che avrà facilmente assunto anche la funzione di Cattedrale, benché già da tempo sprovvista del suo vescovo, e che né la tradizione né le ricerche storico-archeologiche sono mai riuscite a ben localizzare, credo abbia un qualche valore il riferimento alla rinomata fiera che si teneva in quella parte più pianeggiante dell’antico abitato romano, a quel tempo oramai in gran parte abbandonata e che presentava caratteristiche di ruralità (G. e A. Magliano, op. cit., pp. 104, 185).
La nuova «Ecclesia» eretta al Santo «non post multos
dies»[24] va a parer mio collocata in un luogo non distante da quello in cui avvenne la prima
deposizione.
La successiva denominazione di “fiera di San Pardo”, in definitiva, non può che rifarsi a un’origine cultuale riferita alla venerazione delle reliquie del nuovo Santo Patrono, così come quella denominata “di San Primiano”, traeva quasi certamente la sua ragion d’essere dall’antica forma di culto liturgico denominata statio [sulla fiera: G.A. Tria, op. cit., p. 270; vd. anche p. 772; G. e A. Magliano, op. cit., pp. 75, n. (a), 103-104, 274-275 e n. (e); A. Magliano, op. cit., p. 66, n. 1; G. Mammarella, Da vicino e da lontano cit., pp. 47-50].
Il Pollidoro difatti conferma:
Festum ipsum S. Pardi
celebrius reddiderunt Summi Principes Nundinis, quæ magna cum Populorum frequentia quotannis
Larini peragi consuevere.[25]
Sappiamo, per di più, che sicuramente nel semideserto abitato romano sorgeva un piccolo rione, pure denominato “di San Pardo”, il cui nome avrà avuto certamente un’origine cultuale [G.B. Pollidoro, op. cit., p. 66; G. e A. Magliano, op. cit., p. 185; A. Magliano, op. cit., p. 93; M.S. Calò Mariani (ed.), op. cit., p. 64].
Peraltro conosciamo bene dove si tenesse la “fiera di San Pardo” – poi “fiera d’Ottobre” – negli anni a cavallo tra XIX e XX secolo, grazie a una preziosa documentazione fotografica pervenutaci, vale a dire lungo i quattro lati dell’edificio attualmente posto tra gli slarghi oggi denominati Piazza dei Frentani e Largo Pretorio – sito conosciuto come “piano della fiera” – e nelle aree limitrofe, a quel tempo pressoché sgombere di edifici [alcuni esempi in Pilone, 100 anni di fotografie a Larino, ed. N. Stelluti, Larino 2002; sul “piano della fiera” o “piano del Palazzo”: G. e A. Magliano, op. cit., p. 75, n. (a); A. Magliano, op. cit., p. 10].
Una diversa etimoliga dei termini “palazzo”e “piano della fiera” si rifarebbe invece alle denominazioni tardoantiche date alle mansiones di particolare pregio, poste in alternativa alle stazioni postali romane [G. De Benedittis (ed.), Il porto romano sul Biferno…, p. 11]. Secondo questa seconda interpretazione, la fiera di Larino si sarebbe pertanto svolta nell’area un tempo occupata da una precedente mansio altomedievale.
In ogni caso credo non si sia molto lontani dal vero se si afferma che la chiesa dedicata alla Sancta Dei Genitrix et Virgo Maria, in cui, stando alle Vite[26], furono deposte le spoglie mortali di San Pardo vescovo sia da localizzare nei pressi di questo isolato, se non proprio all’interno di esso. |
A sostegno di questa ricostruzione ricordiamo che anche la “fiera di Sant’Antonio abate” si teneva in prossimità della chiesa e del monastero omonimi, vale a dire tra l’Anfiteatro e le antiche Terme, nel cosiddetto “piano di Sant’Antonio” [G. e A. Magliano, op. cit., pp. 274-275 e n. (e); A. Magliano, op. cit., p. 66, n. 1; sulla chiesa e sul monastero: G.A. Tria, op. cit., p. 369; G. e A. Magliano, op. cit., p. 186; A. Magliano, op. cit., p. 92].
Abbiamo verificato quindi come le tre più rinomate fiere cittadine fossero dedicate a Santi molto venerati – tra cui il Patrono – e si svolgessero nei giorni delle loro feste e nei dintorni di edifici di culto a loro intitolati. Per due di essi – Primiano e Pardo – l’esposizione commerciale traeva la sua ragion d’essere, almeno in origine, dal richiamo di pellegrini che vi si recavano per venerare le loro reliquie; per cui credo sia possibile dare quasi per certa l’ubicazione della chiesa mariana in cui avvenne la prima deposizione del corpo di San Pardo nel sito sopra indicato. Che poi questo edificio di culto fosse l’antica Cattedrale cittadina – ma nel frattempo privata di un vescovo residente - mi pare altamente probabile.
Parrebbe assurdo, difatti, sostenere che il primitivo edificio di culto in cui avvenne l’originaria deposizione fosse situato nel borgo medievale posto a valle, senza che nei suoi pressi si tenesse una qualche esposizione commerciale nel contesto della festa religiosa, così come d’altronde avviene ancora oggi in tutte le sagre paesane degne di questo nome (G. e A. Magliano, op. cit., p. 185).
Registriamo, tuttavia, che in maniera diversa la pensano diversi Autori, i quali sostengono che il primitivo edificio di culto in cui avvenne la prima deposizione si trovava nel borgo medievale (G.A. Tria, op. cit., pp. 246-247, 767; P. Ricci, op. cit., pp. 73, 116).
Ricordiamo, in proposito, la valutazione di alcuni storici sulla formazione della Larino medievale, i quali datano l’abbandono definitivo del sito di Piano San Leonardo e l’origine dell’insediamento abitativo «tra VIII e IX sec.» [G. De Benedittis (ed.), Il porto romano sul Biferno…, p. 20], con ogni probabilità anche a seguito dello spopolamento successivo all’occupazione longobarda, e per questo la sua origine va riferita «al più generale incastellamento verificatosi nella Langobardia Meridionale a partire dalla fine del IX secolo» (I.M. Iasiello, Samnium…, p. 90).
Tuttavia non si ha difficoltà ad ammettere che le sante Spoglie del vescovo Pardo siano state traslate nella nuova Cattedrale eretta a valle – così come si lascia pure intendere nella Vita prolixior (G.B. Pollidoro, op. cit., p. 68) –, che possiamo pacificamente ritenere abbia avuto un suo nucleo già prima della edificazione del grandioso edificio inaugurato il 31 luglio 1319 – ipotizzabile la fine del periodo di soggezione alla sede beneventana –, all’interno del quale esse furono definitivamente deposte l’anno successivo (ibid, p. 71; G.A. Tria, op. cit., pp. 769-770).
|
Sappiamo difatti che la diocesi di Larino riebbe la propria autonomia con la nomina del cittadino larinese Azzo o Azzone, che tenne la cattedra per un periodo imprecisato, a partire dall’anno 960 (G. Mammarella, Larino sacra. Cronotassi…, pp. 17-18). Potremmo perciò ritenere che fu proprio lui – o qualche suo immediato successore – a dare impulso al trasferimento dell’abbandonata Cattedrale dall’antico abitato romano, in gran parte spopolato ormai da secoli, al nuovo nucleo urbano altomedievale posto a valle. Non si ha difficoltà ad accettare che il vicus extraurbano abbia trovato proprio nella figura del vescovo un centro morfogenetico (G. Volpe, Il ruolo dei vescovi nei processi di trasformazione del paesaggio urbano e rurale, pp. 85-106).
La ricostruzione proposta circa la traslazione dei resti mortali di San Pardo poggia, oltre che sui riferimenti al pellegrinaggio micaelico presenti nella cosiddetta “Carrese di San Pardo” – la continua presenza del termine “compagnia”, il tema del pellegrinaggio verso oriente, “addò spunta lu sole”, dove c'è una “bella conca marina”, cioè il golfo di Manfredonia –, anche e soprattutto sulla morfologia del carro addobbato, così come lo conosciamo al giorno d’oggi, che presenta caratteristiche assai simili a quello adoperato per raggiungere il Gargano.
Si potrebbe quindi ben sostenere che il carro utilizzato per le corse e successivamente per le prime sfilate nella festa di San Pardo si rifacesse, nella sua morfologia, a quello di cui ci serviva per recarsi al San Michele di Puglia.
|
Leggi il saggio anche su Academia.edu
oppure scarica
|
Scrivi commento
Lorenzo Di Maria (domenica, 31 maggio 2020 00:26)
Sono estasiato. Non conoscevo queste ricerche, e ne sono rimasto affascinato come non mi succedeva da tanto. Ho letto anche quella sulla Carrese e quella su San Casto a Trivento: stesso effetto. E da innamorato perso della nostra festa e dunque ovviamente della narrazione che la accompagna, mi sento incredibilmente arricchito da queste ricostruzioni. Da brividi, sono senza parole, davvero.
Pino Miscione (domenica, 31 maggio 2020 02:42)
Gentilissimo Lorenzo,
ti ringrazio del generoso commento e dell’apprezzamento per le mie ricerche, le quali a volte ricompongono una storia diversa rispetto a quella già nota e divulgata. Alcuni dei saggi che hai letto sono riproposti, insieme a diversi altri, in una mia pubblicazione uscita lo scorso dicembre – Larino micaelica. Saggi sulla diffusione del Cristianesimo nella città dell’ala e della palma –, la quale ricostruisce la storia cristiana di Larino dagli albori ai nostri giorni. Non c’è ancora stata la possibilità di presentarla ufficialmente, causa virus ma anche per altre ragioni. Tuttavia la fretta non mi assale.
https://www.rizzolilibri.it/scheda-libro/9788831936408/
Di seguito due capitoli già pubblicati online (2° e 15°), tanto per dare un’idea dei limiti temporali presi in considerazione e del metodo di lavoro:
https://www.academia.edu/36570900/Santi_Martiri_Larinesi
https://www.academia.edu/43139788/Fra_Pio_da_Pietrelcina_nella_Diocesi_di_Larino
Il libro è comunque già disponibile presso diverse biblioteche italiane, e le prime due copie le ho donate alla Biblioteca Comunale “Bartolomeo Preziosi”. Di seguito l’elenco delle Biblioteche che lo possiedono:
https://www.facebook.com/Larino.micaelica/posts/120921252722136
Notizie generali:
https://www.facebook.com/notes/larino-micaelica-saggi-sulla-diffusione-del-cristianesimo/dove-trovare-larino-micaelica/100912978056297/
Un caro saluto
P.M.